Mercoledì, 26 Novembre 2008 15:11

Ribellarsi ai clan?

Scritto da  Gerardo

Domenico Pizzuti, in seguito anche ai risultati di un questionario somministrati a studenti napoletani e campani, ci invia questa riflessione dal titolo provocatorio:
Ribellarsi ai clan oppure no? Gomorra non è un destino
Nel seguito puoi leggere il testo dell’intervento, che se vuoi puoi però anche scaricare da qui in versione PDF.

Ribellarsi ai clan oppure no? Gomorra non è un destino
di Domenico Pizzuti

Il senso della visita della Ministra Meloni ad alcune realtà giovanili dei quartieri Spagnoli ed a Scampia, pur davanti a rabbia e delusioni diffuse, è stato sintetizzato nell’invito ai giovani “Ribellatevi ai clan!” (Corriere del Mezzogiorno, 19/11/2008, pag. 2). Nello stesso tempo, i risultati del questionario anticamorra 2008 su un campione di 6.500 giovani di Napoli e dintorni, presentato a Napoli dall’Associazione studenti napoletani contro la camorra - al di là della rappresentatività dell’universo giovanile che induce a qualche cautela - offriva uno spaccato da una parte di intenzioni di fuga dalla realtà napoletana secondo un 40% dei giovani intervistati, dall’altro della convinzione secondo il 30% che la camorra non si possa sconfiggere. Ma anche, secondo un 40% che la camorra presenta aspetti positivi: secondo il 15% <>, secondo il 14% ritiene che assicuri lavoro, e secondo il 12% che garantisca sicurezza. E nel contempo, un 40% non manifesta fiducia nelle forze dell’ordine verso il 31% che invece esprime fiducia. “Ragazzi <>” come titola ieri in cronaca il Corriere della sera? Di quale Stato? Di uno Stato che non è percepito dai giovani come amico, ma avaro di opportunità e ricompense per costruire il futuro?

L’invito alla resistenza ed alla ribellione nei confronti della criminalità organizzata detta “camorra” da parte di rappresentanti dello Stato è sacrosanto, come pure quello dell’Arcivescovo di Napoli ad una <> per liberare la città di Napoli dal demone della violenza e della paura. Ma la realtà di Napoli e dintorni presenta spesso una realtà più grigia, lenta, ambigua – se non omertosa - nel reagire da parte delle popolazioni interessate di fronte ad episodi di violenza. Durante la trasmissione di Raidue <> di martedì 4 novembre sulla gambizzazione di 5 ragazzini in un circolo ricreativo dell’area Nord di Napoli, il magistrato incaricato delle indagini rilevava le bocche cucite delle persone del luogo che non prestavano collaborazione alle indagini. E nel corso di una celebrazione domenicale di una comunità di famiglie a Scampia, di fronte ad una mia sollecitazione a reagire a simili episodi, alcuni donne ribattevano “Come si fa, lo Stato ci deve proteggere!”

L’attenzione si concentra su un opinione certo minoritaria tra i giovani in merito ad una presunta imbattibilità della camorra, che manifesta un radicamento, un’ incombenza, un potere, ed una presa sulle mentalità dei giovani nelle realtà locali di appartenenza che non sollecita certo una resistenza e ribellione nei confronti dei clan. Valorosi magistrati come Roberti e Cantone hanno richiamato anche recentemente la capacità di consenso sociale della camorra, come fanno intravedere alcuni risultati dello stesso questionario anticamorra su presunte “funzioni sociali” della camorra, che viene così a configurarsi come anti-Stato. Prima di riflettere sulla chiarificazione dell’azione di contrasto nei confronti della galassia della criminalità organizzata campan, combattere o sconfiggere la camorra secondo un dilemma manifestato dallo stesso ministro Maroni, a nostro avviso, occorre portare l’attenzione sul tessuto sociale di tante cittadine della provincia di Napoli e Caserta dove l’attività economica presenta già tassi elevati di irregolarità, quando non di compartecipazione ad attività illegali, semilegali, o apparentemente “legali”. Ed insieme di complicità da parte di burocrazie delle amministrazioni locali, sciolte per infiltrazioni camoristiche. E’ a questo livello di criminalità organizzata di stampo mafiosa nelle realtà delle provincie campane che occorre promuovere non solo un’azione di contrasto da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito. Ma di risanamento economico e sociale a partire dal decoro urbano di fronte ad un disordine urbanistico che è anche etico, dalle politiche giovanili per il lavoro ed il tempo libero, dalla scuola a tempo pieno e così via, ad opera non solo dello Stato centrale, ma di Comuni, provincie e Regione che amministrano il territorio e le loro comunità. E sono avamposti dello Stato.

Insieme a queste politiche occorrono “imprenditori morali” credibili per mobilitare le popolazioni alla resistenza sconfiggendo violenza, paura, sfiducia, rassegnazione diffuse e suscitare energie per costruire solidarmente comunità più sicure e vivibili. Con la convinzione e la speranza che Gomorra non è destino per Napoli e la Campania, ma una sfida per comunità libere e civili.

Napoli, 20 novembre 2008
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